PUEBLO

Pueblo è il secondo lavoro di una trilogia che Ascanio Celestini ha cominciato con Laika nel 2015, di cui vedremo la conclusione nei prossimi anni. Lo spettacolo è stato presentato in anteprima al teatro Vittoria e, proprio come il suo predecessore, in occasione del Romaeuropa Festival.

In bilico tra teatro di narrazione e “realtà” romanzesca, con Pueblo ritornano i luoghi cari a Celestini: la periferia, i marciapiedi, i supermercati. Si tratta di luoghi non rappresentati in scena, ma evocati dalle parole dell’attore-autore. Esattamente come questi ultimi, anche i protagonisti che racconta non sono solo evocati, ma dichiaratamente inventati. Le vite di Violetta, di Domenica, di Said, dello zingaro, popolano la sua immaginazione. Da dietro la finestra Celestini riesce solo a guardare, non a conoscere. Non sa niente di quelle persone che lo circondano, della dirimpettaia sempre in compagnia di un’anziana, dell’uomo che vede nel parcheggio del supermercato, del corpo esanime che ritrovano riverso sulle strisce pedonali del suo quartiere. Ma di loro può raccontare tutto. “Pietro, io non so niente di lei, ma se vuoi ti racconto tutto”, dirà al suo coinquilino.

Accompagnato dalle musiche originali di Gianluca Casadei, Celestini osserva gli spettatori da dietro la tendina della sua finestra e, come un cantastorie, celebra personaggi che vivono avventure immaginate, certo, ma per niente inverosimili.
La voce di Celestini diventa l’unico modo per lo spettatore di vedere i personaggi. L’attore si limita, per la maggior parte del tempo, a raccontare, quasi oggettivamente, il dispiegarsi dei destini dei suoi protagonisti. È un narratore a tutti gli effetti, un voyeur, che osserva e dà voce a quello che “vede”, riducendo al minimo persino i movimenti. La musica accompagna l’incalzare degli eventi e diventa funzionale alla narrazione per sottolineare momenti di pàthos e di tensione.
Come la maggior parte dei suoi spettacoli, anche Pueblo è caratterizzato da una scenografia essenziale: una tendina bianca e qualche cassa rovesciata.

Pur rientrando nella trilogia a cui appartiene anche Laika, Pueblo si differenzia molto da quest’ultimo. Laika è un racconto cruento e realistico, in cui attraverso un flusso di coscienza Celestini esprime, con velata rassegnazione mista a rabbia nei confronti della stupidità umana, l’impossibilità di migliorare il disfacimento che lo circonda, in attesa del crollo finale. Pueblo, invece è uno spettacolo che lascia intravedere una luce di speranza, o quantomeno di ottimismo. I personaggi che racconta hanno tutto l’aspetto di uno straccio logoro lasciato nell’angolo di una stanza buia, ma su cui qualcuno ha versato un po’ di brillantina. La brillantina è l’immaginazione, la fantasia, la possibilità di riscrivere le vite per renderle avventure. E quello che ci racconta Celestini in Pueblo è proprio il viaggio dell’eroe, le prove e le insidie che deve affrontare e a cui è sempre destinato un lieto fine, anche nella morte. Alla fine del racconto quelle storie diventano vere, reali, vicine, quasi tangibili, perché, in fondo,  “ciò che non si può raccontare, non esiste.”

 


 

di Ascanio Celestini, Gianluca Casadei
voce off Ettore Celestini
Suono Andrea Pesce
Produzione Fabbrica srl
Con il sostegno della Regione Lazio in coproduzione con Romaeuropa Festival 2017, Teatro Stabile dell’Umbria

 

Al Teatro Vittoria dal 17.10 al 29.10