LA VITA FERMA. La gestazione dei defunti.

Lucia Calamaro è (ahi noi!) conosciuta soprattutto tra gli addetti ai lavori che al grande pubblico. E questo nonostante il curriculum, le esperienze, i riconoscimenti, le lusinghiere parole dei critici.
La Vita Ferma, in scena fino al 14 maggio è il primo dei tre spettacoli di Calamaro riuniti al Teatro India. Probabilmente, i più significativi ( L’origine del mondo dal 16 al 18 maggio e Tumore dal 19 al 21 maggio).

Diviso in tre atti, La Vita Ferma è un “dramma di pensiero”, precisano le note di regia. Una definizione nuova, ma che centra in pieno il senso dello spettacolo. La vita ferma è quella dei morti, anche se qui, quello che la Calamaro ha deciso di raccontare, non è la morte o il più consueto tema dell’elaborazione del lutto, ma il ricordo nel dolore della perdita, l’unico vero filo che lega i vivi ai morti. E cosa può succedere al filo? Si deteriora, col tempo si sfilaccia e si assottiglia. Può finanche rompersi.

I tre protagonisti sono insieme attori (di prim’ordine) e personaggi. Riccardo Goretti è il padre e marito sempre troppo autoreferenziale, Alice Redini, la figlia sensibile in cerca di attenzioni e Simona Senzacqua, la moglie che ama il sole e i vestiti a fiori, nonché la defunta. Il fatto è già accaduto quando i due coniugi accolgono il pubblico in platea. Simona è morta da poco e chiede al marito, nel mezzo di un trasloco, cosa succederà dopo. Quanto sarà fedele il ricordo che conserverà di lei e quanto invece la re-inventerà nella sua mente. Gli ingombranti scatoloni con tanto di scritta “fragile”  tumuleranno la morta (il suo ricordo?). Il secondo atto racconta l’evento. Non importa come muore Simona, quello che sappiamo è che è confusa, non dorme e sviene. Ma sa che deve morire, e sceglie il vestito più giusto per la dipartita. Nel terzo e ultimo atto c’è un doppio salto temporale. Alice, incinta, incontra suo padre dopo anni e insieme vanno al cimitero. Un cambio di scena e costumi “in diretta” spostano padre e figlia ancora più avanti nel tempo, al matrimonio di Alice. Cosa succede, a distanza di decenni, al ricordo della madre e della moglie? Il suo profumo, i suoi gusti, i suoi oggetti bastano a restituire un ricordo vivo di lei? Il filo resiste? Quanto senso di colpa c’è in chi resta?

La Vita Ferma è un dramma comico-filosofico. La drammaturgia di Lucia Calamaro si intreccia alla letteratura, probabilmente nasce con la letteratura. Affronta temi importanti, che sono stati al centro delle grandi domande del genere umano, ma la sua forza sta nel trattarli con leggerezza, senza essere mai superficiale, anzi scavando sempre più a fondo, sviscerando le paure, i bisogni, i desideri atavici dell’uomo. La scrittura è asciutta e precisa, reale. I monologhi e i dialoghi, che sono nelle intenzioni soliloqui, potrebbero tranquillamente trovarsi all’interno di una sit-com in onda su Netflix. Ed è proprio questa la novità della scrittura di Lucia Calamaro: una boccata di aria fresca nell’asfittico panorama drammaturgico italiano contemporaneo.  Il teatro, nella sua accezione più nobile e alta di luogo in cui tutto il trascendentale dell’uomo si fa parola, spazio, rappresentazione, arriva a tutti, a ogni spettatore che partecipa attivamente non tanto alla vicenda (qui volutamente in secondo piano) ma al dramma interiore dei personaggi che è il dramma di ognuno di noi. Le domande, le suppliche che i personaggi rivolgono al pubblico, lo costringono all’empatia. Un rapporto sincero tra teatro e pubblico, dunque, che non risulta mai finto, artificioso, ma autentico.

Il dramma di pensare o meno ai morti è comunque il dramma di pensiero di chi resta e distribuisce o ritira, senza neanche accorgersene un’esistenza. Di che tipo sia l’esistenza dei morti non saprei dire, ma, come predica Etienne Soreau, «non c’è un esistenza ideale, l’ideale non è un genere d’esistenza».

Lucia Calamaro

 


Sguardi sul dolore del ricordo
dramma di pensiero in tre atti
scritto e diretto da Lucia Calamaro

con Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua

assistenza alla regia Camilla Brison
scene e costumi Lucia Calamaro
contributi pitturali Marina Haas
direttore tecnico Loic Hamelin

orari spettacolo
ore 20
domenica ore 18
lunedì riposo
durata I atto 50 minuti – II atto 60 minuti – III atto 35 minuti