Lear, la storia

Fino al 3 luglio al Silvano Toti Globe Theatre, Roma

Lear, la storia apre la stagione del Sivano Toti Globe Theatre di Roma. La tragedia del re di Britannia, che ha origine in tempi remotissimi, rivive sul palco del teatro elisabettiano romano, unico in Italia.

Lear entra in scena a torso nudo e il suono di un lento sgocciolio di acqua scandisce il rituale della vestizione con il mantello regale. Le tre figlie sul proscenio aspettano ubbidienti la volontà del padre. Il re, dopo aver ascoltato le esagerate adulazioni delle due primogenite, Goneril e Regan, decide di escludere ed esiliare Cordelia (fino ad allora la sua figlia preferita) che, estranea alle false lusinghe di cui invece sono esperte le sorelle, ama il sovrano per quanto m’obbliga il mio dovere filiale: né più, né meno”.

Il love-test richiesto da Lear è un atto pubblico che rappresenta l’ubbidienza dei figli ai padri e quindi dei giovani ai vecchi. Un rituale che segue gesti simbolici e precisi (lo smembramento del mantello regale e della corona a simboleggiare la divisione delle regioni delle Britannia alle legittime eredi).

Da questo momento in poi, la tragedia ha inizio. Le due sorelle maggiori allontanano sempre più il padre dai loro progetti e il re, solo, non avrà più potere su niente e nessuno. La superbia e la tracotanza di re dell’inizio, si trasforma in impotenza e pazzia.

Parallelamente il dramma di Gloucester si intreccia a quello di Lear. Anche in questo caso, la menzogna vince sulla verità, il figlio abbandonerà il vecchio padre, fin quasi a portarlo al suicidio.

La messinscena di Giuseppe Dipasquale ha, probabilmente, voluto trasporre la tragedia così come era stata pensata dal Barbo, che ne aveva colto la luce d’eternità, senza aggiungere elementi significamente innovativi e limitando al minimo i tagli al testo.

Mariano Rigillo, interpreta magistralmente Re Lear restituendo tutte le sfumature che il sovrano tocca nel corso dell’opera. Superbo, tracotante, folle, malinconico, vecchio-bambino. Se all’inizio l’interpretazione può sembrare caricata, poi si capisce quanto questa scelta risulti pertinente. Le parole che Shakespeare mette in bocca a Lear sono pronunciate chiare, scandite con giuste pause e sospiri che ne esaltano la straordinaria modernità.

Gonerill e Regana, interpretate rispettivamente da Roberto Pappalardo e Luigi Tabita, perfette nei panni delle figlie malvagie. La decisione di scegliere due uomini è calzante. Goneril e Regan risultano assolutamente credibili e la scelta di non far scimmiottare, con la voce e le movenze, due donne è azzeccata. Nei costumi non propriamente femminili (come è invece quello candido di Cordelia) scelti per loro daAngela Gallaro, in cui i corpetti assomigliano più a delle armature, c’è forse la volontà di far trapelare la natura mascolina delle due donne, senza scrupoli verso il vecchio padre e pronte a combattere il re di Francia e la sorella, pur di tenersi strette il regno.

Sebastiano Tringali è Gloucester, il padre ingannato come Lear. Accecato dall’ira e dall’orgoglio, giunge alla verità troppo tardi. Quasi cinematografica, nell’accezione più positiva del termine, la sua interpretazione.

Da sottolineare anche la riuscita del personaggio di Edgar, il figlio costretto a fingersi pazzo, per evitare la morte per mano dei soldati inviati dal padre. Una prova d’attore a tutto tondo,quella di Giorgio Musumeci, con continui cambi di registri, sempre credibili, e una sforzo anche fisico soprattutto nella seconda parte.

David Coco è Edmund, il figliastro di Gloucester e fratello di Edgar che abilmente riesce nel suo intento di accaparrarsi l’eredità del padre. Pur avendo una buona presenza scenica e capacità di convogliare l’attenzione del pubblico, la sua interpretazione è troppo caricata per tutta la durata della tragedia, ottenendo così l’effetto opposto: il suo personaggio risulta piatto e monocorde.

Meno convincente Anna Teresa Rossini, che ha, probabilmente, il ruolo più complesso di Re Lear: il Matto. La presenza costante del Fool in quasi tutte le tragedie di Shakespeare ha una valenza importantissima: proprio perché la tragedia vuole rappresentare la vita reale, l’alternanza tra comico e tragico è necessaria. È una vera e propria rivoluzione del teatro, che prima di Shakespeare non prevedeva la commistione di generi, proprio come aveva asserito Aristotele. Il ruolo del fool è fondamentale non solo per questo, ma perché, nella follia, rappresenta il bene che resta quando tutto intorno è male, la coscienza del protagonista, l’intelligenza intuitiva e immediata che fa le veci del coro, oltre che un vero e proprio buffone patentato. Tutto questo è venuto a mancare. Tolta la comicità che risiede nella fisicità della Rossini, simile a uno Sbirulino, manca del tutto la profondità e la sacralità che tutti ifools di Shakespeare hanno.

Alla scena centrale della tempesta, che sancisce il rovesciamento della situazione e la presa di coscienza di Lear, non è stata data forse la giusta importanza. Risulta difficile capire che si tratti di una tempesta. Non un tuono, non un significativo movimento dei personaggi che la sottolinei.

Nel complesso, però, le tre ore e più della messinscena trascorrono e il dramma si dipana fino alla suggestiva scena finale. Un sovrano, nuovamente inerme di fronte alla morte della figlia Cordelia che non riesce ad accettare: “Urlate, urlate, urlate! Oh, siete uomini di pietra. Avess’io e le vostre lingue e i vostri occhi, li userei in modo che la volta del cielo si fendesse. È andata via per sempre. Io son ben riconoscere queand’uno è morto e quando vive: è morta come la terra. Prestatemi uno specchio, e se l’alito suo ne annebula o appena ne sbiadisce il cristallo, ebbene, solo allora vuol dir che è viva. […] Ma perché un cane, un cavallo, un topo, debbono aver la vita e tu non devi averne più nemmeno un soffio? Tu non tornerai mai più, mai, mai, mai, mai, mai!

Stupisce sempre come una tragedia scritta nel 1606, la cui storia risale probabilmente all’VIII sec. riesca ad essere ancora così attuale. Shakespeare non parteggia per nessuna causa, ma si rende conto che una causa esiste. E la tratta con assoluta modernità, tratteggiando abilmente i contrasti della natura umana e, insieme, il destino infelice degli uomini.

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Regia: GIUSEPPE DIPASQUALE

Traduzione: MASOLINI D’AMICO

 

Interpreti (in ordine alfabetico):

Re di Francia–Oswald CESARE BIONDOLILLO

Kent FILIPPO BRAZZAVENTRE

Edmund DAVID COCO

Duca di Borgogna ENZO GAMBINO

Edgar GIORGIO MUSUMECI

Gonerill ROBERTO PAPPALARDO

Re Lear MARIANO RIGILLO

il Matto ANNA TERESA ROSSINI

Cordelia SILVIA SIRAVO

Regana LUIGI TABITA

Gloucester SEBASTIANO TRINGALI

 

Movimenti scenici: DONATELLA CAPRARO

Costumi: ANGELA GALLARO

Musiche: GERMANO MAZZOCCHETTI