DUE DONNE CHE BALLANO. La danza dell’esistenza

Due donne che ballano , al teatro Vittoria di Roma fino al 2 aprile , è un testo dell’autore catalano Joseph M. Benet Jornet, prolifico autore teatrale e televisivo.
La storia è quella di due donne ordinarie che hanno vissuto un’intera vita nell’anonimato, tanto da non meritarsi neanche un nome, e a cui la vita non ha riservato niente di speciale, neppure un ricordo. La più anziana che ha riversato nel collezionismo di vecchi giornalini tutte le sue aspirazioni. Vive in una brutta casa fatiscente, con le pareti umide, i mobili tarlati e le sedie sfilacciate, trascurata dai figli troppo indaffarati. L’altra, è una giovane badante laureata, ingaggiata dalla figlia della signora, che si è lasciata attraversare dalla vita, fino a quando un evento tragico, che confesserà a fatica, la segna per sempre
Malgrado loro, le due si ritrovano a convivere qualche ora alla settimana. Entrambe hanno un carattere pessimo, covano rabbia e rancore, ma se l’anziana lo manifesta urlando ogni sorta di imprecazione, l’altra lo tiene dentro, al punto da irrigidirla nei gesti e nelle parole.
L’incontro di due solitudini, se da un lato aiuta a non sentirsi meno soli, dall’altro non riesce a cancellare una vita senza senso, la rabbia, l’inadeguatezza di stare al mondo.
Benet Jorden ha scritto questa pièce per due donne, ma potrebbe tranquillamente trattarsi di due uomini. In questo caso, la figura femminile non aggiunge nessuna sfumatura: si tratta fondamentalmente di due solitudini che si incontrano.
La struttura drammaturgica si snoda in cinque quadri temporali che lasciano poco spazio all’imprevedibilità. Tutto va come il pubblico immagina deve andare. Ma questo deficit di suspense è ampiamente colmato da dialoghi pungenti, ironici, reali. La forza di questi due personaggi sta nel fatto che sono più vicini a noi di quanto non sembri.
La regia di Veronica Cruciani è andata anche in questa direzione. La scarna scenografia ( Barbara Bessi) lascia il posto alla parola, ai movimenti. Maria Paiato dà un interpretazione magistrale dell’anziana signora. Il ritmo, i cambi di tono, i movimenti sono puntuali e asciutti, senza alcuna esagerazione o manierismo che spesso caratterizza molti protagonisti del teatro contemporaneo. Allo stesso modo anche Arianna Scommegna restituisce una donna reale, con ferite aperte che fa di tutto per nascondere, ma che continuano a sanguinare. Una fisicità che racconta molto più delle parole. Curva su se stessa, nervosa, irrigidita da movimenti scattanti che tradiscono l’implosione che sta vivendo. Due grandi prove attoriali, in cui nulla è lasciato al caso. Merito sicuramente anche della regista che ha saputo tirare fuori, in un processo “maieutico”, la parte più intima e vera delle due attrici.
La solitudine però non sempre isola. A volte unisce. E pur se in modo diverso, le due donne si ritrovano unite nel momento finale, l’unico a cui, giustamente, è stato affidato un’immagine poetica, quasi onirica. Le due donne balleranno, unite fino a diventare un unico corpo, l’ultima danza dell’esistenza.

 


 

di Josep Maria Benet i Jornet
traduzione: Pino Tierno

con: Maria Paiato e Arianna Scommegna

scene: Barbara Bessi
musiche: Paolo Coletta
Luci: Gianni Staropoli
regia: Veronica Cruciani

Produzione: Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano

Dal 23 marzo al 2 aprile 2017