Cyrano de Belgerac

Fino all’8 novembre al Teatro Parioli Peppino De Filippo, Roma

 

di Edmond Rostand

traduzione di Mario Giobbe

 

Al fin della licenza io tocco”, è il motto del filosofo, poeta e leggendario spadaccino, Cyrano de Bergerac, che con la spada e con il naso ha toccato il cuore di tutti al teatro Parioli.

Pièce teatrale di successo e sempre attuale da oltre un secolo, la commedia diEdmond Rostand riesce ancora ad emozionare. La mostruosa appendice che“supera di un quarto d’ora” il cadetto di Guascogna più famoso e amato del teatro, ha deformato i volti di grandi attori che negli anni ne hanno indossato i panni (e il naso, appunto) a teatro e al cinema.

Nella messa in scena della compagnia Gank per la regia di Matteo Alfonso eCarlo Sciaccaluga, le azioni principali si svolgono su un piano inclinato verso il pubblico che con un sistema di botole, diventa di volta in volta un ambiente nuovo e permette agli attori di uscire di scena. Con questo escamotage è stato possibile montare il balcone (che certamente ricorda il balcone di Romeo e Giulietta) da cui si affaccia Rossana, che ascolta incantata le parole di Cyrano, camuffato nella notte. Sin dall’inizio dello spettacolo, gli attori si muovono anche in sala, che spesso è utilizzata come una vera e propria quinta con ingressi e uscite. Al di fuori della pedana centrale e di un grande pannello a fondo palco, la scenografia non presenta altri elementi. Lo spettatore è così costretto a concentrarsi sugli attori che recitano i famosi versi nella bellissima traduzione di Mario Giobbe, senza troppi istrionismi o retorica, ma in modo naturale, così da rendere il testo antico di più chiara comprensione. Tuttavia, in alcuni punti, l’interpretazione risulta fin troppo naturale. Gli accenti regionali sono riconoscibili, spesso così marcatamente che potrebbe trattarsi tratti di una precisa scelta stilistica.

Anche i costumi di Guido Fiorato, che ha curato pure la scenografia, sono minimal, soprattutto quelli di Rossana, ben interpretata da Silvia Biancalana, completamenti privi di fronzoli, merli e merletti, tipici della moda femminile seicentesca. Gli scarponi dei soldati sono moderni anfibi o simili, del tutto fuori contesto.

Perfettamente in parte Antonio Zavatteri che calca la scarna scena con le gambe larghe e il bacino in avanti, i capelli ribelli che provano a nascondere il volto, tanto detestato da Cyrano, una mano pronta sulla spada e l’altra con il dito puntato ora in cielo per declamare a gran voce versi beffardi, ora in avanti per additare i potenti e i prepotenti. Un interpretazione che mira, come ha già dichiarato l’attore, a mostrare non tanto la fragilità dell’eroe, ma la sua frustrazione.

Il pathos in sala cresce durante la scena finale. Cyrano, beffato dalla sorte, sta morendo a causa della ferita riportata da una vile imboscata. Recitando a memoria la lettera di addio che Cyrano aveva scritto per Rossana da parte di Cristiano, egli dice addio alla sua amata e le rivela, senza volerlo, il segreto che ha custodito per quattordici anni.

L’eroe di cui abbiamo seguito le gesta, dopo essersi battuto contro nemici immaginari per l’ultima volta, si accascia a terra e rivolge al pubblico il suo epitaffio: Amante – non per sé – molto eloquente/ qui riposa Cyrano/Ercole Saviniano/signore di Bergerac/che in vita sua fu tutto e non fu niente.

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regia Matteo Alfonso e Carlo Sciaccaluga

musiche Andrea Nicolini

scene e costumi Guido Fiorato

luci Sandro Sussi

con

Antonio Zavatteri – Cyrano
Alberto Giusta – Conte De Guiche
Silvia Biancalana – Rossana
Vincenzo Giordano – Cristiano
Roberto Serpi – Le Bret
Cristiano Dessì – Lignière, un frate, un cadetto
Matteo Alfonso – Ragueneau
Lorenzo Terenzi – Il Visconte di Valvert, un cadetto
Sarah Pesca – Montfleury, la governante, Lisa, un cadetto, Suor Marta
Davide Gagliardini e Michele Di Siena – un ladro, un cuoco, un cadetto, un sacerdote