Intervista ad Alessandro Benvenuti

Attore, autore, regista teatrale e cinematografico formatosi nel cabaret negli anni settanta, Benvenuti ha diretto grandi autori italiani come Alessandro Gassman, Beppe Fiorello, Zuzzurro & Gaspare, Marco Columbro, Maria Amelia Monti, Giampiero Ingrassia e Simone Cristicchi.

Leggendo la sua biografia, ho notato che ha mosso i primi passi sul palcoscenico come cantante, come mai?
All’epoca uscì una canzone dei Procol Harum, Whiter shade of pale, che, oltre ad uccidere definitivamente il beat, perché aveva delle reminiscenze pacchiane e moduli musicali molto singolari, praticamente accese la nostra fantasia. Io ed i miei amici frequentavamo la chiesa e, con l’organo della sacrestia a mo’ di tastiera, formammo un gruppo. Io avevo delle capacità canore e quindi diventai il cantate dei La Vercingetorige six company. Il nome del gruppo, omaggio al famoso gallo che non si piegò all’impero romano, rappresentava la nostra “resistenza” al sistema. Suonavamo rytm n’ blues, pop e rock. In seguito diventai anche l’autore del gruppo.
A distanza di anni ho ripreso la mia vecchia passione, la musica. Ho scritto Capodiavolo che contiene delle mie composizioni, spettacolo che è stato in tournée per tre anni, poi con la Banda Improvvisa di Loro Ciuffenna, abbiamo messo in scena Storia di un impiegato con canzoni di De Andrè e ancora Benvenuti all’Improvvisa, con cover e brani miei. Infine ho messo su, con una nuova band, Zio Birillo storie di acida amenità: un’analisi dell’Italia dal ’60 ad oggi raccontata da un giovane ragazzo, cioè da me a quell’epoca, fino alla rivolta recente dei “Gelsomini” del nord Africa. Di quest’ultimo lavoro stiamo incidendo il cd che uscirà ad ottobre.
Insieme a Francesco Nuti e Athina Cenci ha creato il primo moderno trio comico toscano: i Giancattivi, conosciuti dal grande pubblico grazie a programmi televisivi come Non Stop, e La Sberla con la regia di Renzo Trapani. Cosa significa Giancattivi? Come è saltato fuori questo nome?
Viene dal latino iam-captivus, schiavo liberato, legato all’origine del cognome del primo socio fondatore del gruppo, Paolo Nativi, che purtroppo è morto. A quanto pare una colonia di schiavi liberati dall’impero romano, si trasferì a Roccastrada, in Maremma, dove fondarono una comunità di mugnai. Nel ‘700 da Giancattivi mutarono il cognome in Nativi.

I Giancattivi - Alessandro Benvenuti, Francesco Nuti, Athia Cenci
I Giancattivi – Alessandro Benvenuti, Francesco Nuti, Athia Cenci

Il successo del gruppo a cosa era dovuto? Diventare così popolare a livello nazionale aiutò il gruppo o ne fu la causa dello scioglimento?
In quegli anni c’erano pochi gruppi comici che avevano successo: I Gatti di Vicolo Miracoli di Verona, molto goliardici e La smorfia di Massimo Troisi, molto vicini al teatro popolare e alla sceneggiata della tradizione napoletana. Noi eravamo un po’ più “singolari” perché era difficile capire dove finiva il cabaret e iniziava il teatro sperimentale. I Giancattivi avevano una forma di linguaggio che partiva dallo studio e dall’analisi di grandi movimenti letterari: il surrealismo, il futurismo, il cabaret francese ed eravamo più attenti anche alle realtà europee, oltre che a quelle nazionali. Per un certo aspetto eravamo un gruppo più difficile da focalizzare, ma anche più completo. Cantavamo, facevamo mimo e drammaturgia attraverso la satira sociale ed in questo modo riuscivamo ad essere poco etichettabili. Partecipammo a Non stop del 1978, il programma che mutò il modo di fare televisione e che sconvolse i canoni del varietà televisivo. Basti considerare che in prima serata c’erano almeno 25 milioni di italiani che guardavano il programma e quindi raggiungemmo un’immediata fama nazionale. Poi accadde quello che accade a chi è all’apice del successo, cioè la caduta, oppure il balzo verso un altro territorio. Il gruppo si sciolse perché avevamo raggiunto gli scopi prefissati, cioè fare cabaret, farsi conoscere a livello nazionale, vincere dei premi, debuttare al cinema e nei grandi teatri. C’è un momento in cui è necessario che ciascuno cammini con le sue gambe anche perché il gruppo è un aiuto in più all’inizio: l’unione fa la forza, come si dice, ma poi un artista continua la propria strada anche da solo.
La sua collaborazione con Ugo Chiti (sceneggiatore e autore teatrale) ha prodotto la trilogia di successo “Gori” da cui sono stati tratti due film. “ Benvenuti in casa Gori” e “ Ritorno a casa Gori”. Come mai il terzo capitolo non è ancora uscito nelle sale?
Ho smesso di fare cinema volontariamente. Dopo I miei più cari amici ho fatto solo un altro film, Ti spiace se bacio mamma, ma quello fu proprio richiesto dalla RAI, fui come precettato. La storia non era neanche mia, ma di mio suocero che, facendo l’avvocato, aveva avuto un’esperienza incredibile come esecutore testamentario. Di Addio Gori non abbiamo fatto il film perché io avevo già terminato di fare cinema, quindi non mi è riuscito naturale proporre il terzo episodio ad un produttore cinematografico.
Per lavorare nel cinema c’è davvero bisogno di uno sponsor politico o bastano solo buone idee?
È diventato molto difficile fare cinema senza lo sponsor politico, ma serve soprattutto chi ha i soldi: Medusa per il lato Mediaset e la 01 per il cinema RAI. Altrimenti bisogna avere dei rapporti con persone “alte”, tipo Fandango, Tozzi, DeLaurentis, persone che abbiano dei capitali da investire nel cinema. Io non me ne curo molto adesso perché sono fuori dal mondo del cinema ormai da parecchi anni. Lo sponsor politico ti può servire per prendere un finanziamento pubblico che in parte viene dilapidato dal produttore esecutivo, in parte va a finire nel film. Essere l’amante di qualcuno o avere uno zio politico sicuramente aiuta, però poi c’è il mercato che in qualche modo ti punisce. Ci sono state tante persone che si sono affacciate al cinema spinte “a forza” che poi la gente ha giustamente ricacciato indietro. Sono delle vittorie di Pirro, insomma: rimangono dei tentativi di film di cui non se ne sentiva certo il bisogno.
L’abbiamo vista dirigere grandi interpreti a teatro. Alessandro Gassman, Beppe Fiorello, Zuzzurro & Gaspare, Marco Columbro, Maria Amelia Monti, Giampiero Ingrassia e ultimamente Simone Cristicchi, con uno spettacolo particolare dedicato agli italiani in Russia durante la seconda guerra mondiale. È più appagante dirigere o stare sul palco?
Sono due cose diverse. Io riesco ad avere buoni risultati in entrambi i casi perché, da attore, quando dirigo riesco a capire molto meglio il mio collega attore, più di un regista che fa solo il regista. C’è una completezza in più, si capiscono le vere difficoltà, gli scogli psicologici che ha un attore. Riesci a consigliarlo meglio. In qualche modo è appagante fare l’uno e l’altro. Molto spesso sono stato regista e attore, ma ho anche avuto degli “aiutanti” molto in gamba. Ad esempio nella saga dei Gori, che si basa sull’immobilità dell’attore, decisi di adottare questa forma di recitazione grazie al mio datore luci, Maurizio Viani, che mi propose un disegno luci meraviglioso, ma attuabile solo se interpretavo tutti e dieci i personaggi dello spettacolo stando immobile. A questo punto la regia chi l’ha fatta? Si ha sempre bisogno di un esterno che ti dica quello che vede e che pensa, si riesce ad analizzare meglio.
C’è un artista con il quale avrebbe voluto lavorare?
Tutti quelli con cui ho lavorato mi hanno sempre dato molto tranne un paio di attori che però non scelsi io, ma il produttore. Seleziono sempre le persone con cui devo lavorare. Ho già in mente un cast ideale prima di scrivere, per cui ogni ruolo è pensato per un attore specifico. Non ho questa smania di lavorare “con chi sa chi” anche perché c’è un momento in cui ci lavori. Tanto vale che sia il destino a decidere.

Progetti futuri?
Leggo. Sto leggendo per la Feltrinelli gli audiolibri, attualmente Odore di chiuso di Marco Malvaldi. Questo mi sta creando una carriera parallela di lettore, e spero vada avanti per molto. Da settembre invece interpreto Dr. Jakyll e Mr. Hyde con Sepe in teatro insieme alle gemelle Kessler e Rosalinda Celentano, un mix tra Muline Rouge, Sin City e Frankenstein Junior: non un musical, ma uno spettacolo molto musicale che andrà avanti per due anni. Siamo stati poi precettati, io e l’attore Francesco Gabbrielli , per riprendere L’atletico Ghiacciaia: uno spettacolo molto divertente che ho scritto più di dieci anni fa, che rifaremo al teatro Dante di Campi Bisenzio durante la rassegna teatrale stabile, Andrea Cambi, in omaggio ad un giovane attore di talento morto prematuramente.